Dedicato a Emilio Galeazzi
Tra le più rinomate trattorie di Ancona per lo stoccafisso all’anconetana, c’era quella di Emilio in via Villafranca, esercizio a tutt’oggi esistente, gestito dalla figlia, la brava signora Alberta, e la cui gestione è iniziata nel 1929, l’anno del nevone.
Appena arrivato il fascismo in Ancona si notarono subito i soggetti più tendenti, per “complescion” (come esattamente precisano i nostri campagnoli), alla ragione della forza, che alla forza della ragione; li chiamano anche soggetti “levarecci” ossia facili a levarsi all’ira.
Nella trattoria di Emilio entra un gerarca impettito, la cui sfolgorante divisa di parata non lo rendeva certamente proclive all’umiltà, accompagnato da una sua amica. L’ora è un po’ tarda e già clienti abituali incominciano a lasciare i tavoli.
Emilio non si muove dal suo scrittoio chiuso intorno, dove abitualmente segna le vivande che escono dalla cucina e compila i conti ad ogni cliente che lo richiede.
Il cameriere si premura di sbrogliare un tavolo e lo assesta per il nuovo arrivato di riguardo. Dicono subito che non desiderano una prima portata, ma preferiscono attaccare subito un’abbondante porzione del tanto famoso stoccafisso di Emilio.
É necessario far notare che Emilio per sua natura era tutt’altro che umile e se ne guardava bene dal poter essere tacciato di servilismo. Per questa sua natura non si muoveva dal suo sgabuzzino chiuso in basso ed aperto in alto, ed il cliente doveva trattare soltanto con il cameriere.
Subito viene servito lo stoccafisso che ce n’era sempre anche per la sera. Poco dopo il gerarca impettito, con la sua aria abitualmente autoritaria, dice al cameriere di chiamargli il proprietario.
Emilio, prima di alzarsi dal suo sgabuzzino donanda al cameriere: “ma se pole sapé cusa vole da me custù…”
“Nun ce’ l zo… ma si è che nun me sbaju… me pare d’avé capitu che el stucafisu nun jà gusta tantu…” risponde il cameriere, ed Emilio aggiunge: ” Ah minchió!… incominciamu bé… è lagni piculi sci…”
Come Emilio si avvicina al tavolo, il gerarca lo investe: “Voi avete una fama usurpata. Tanti elogi per questo stoccafisso e poi vi permettete di servirlo
ai clienti così puzzolente…”
Emilio all’istante diventa pallido per trattenere l’ira immediata che lo coglie e con uno sforzo di volontà per mantenersi calmo, risponde: “Ma prima di dire che puzza, ci pensi bene… E lei signorina cosa ne pensa?… Ancora a lei jé pare che puza?…”
La signorina pronta chiarisce che il suo piatto è ottimo.
“E alora, aggiunge Emilio, si è cotu tutu ntun tegame, come fa a puzà una porzione sola?…”
Il gerarca non è abituato ad essere contraddetto ed ordina ad Emilio di riprendersi il piatto che puzza…
“Ma sa cusa jé digu iu?… che sarà lei… che puza e no el stucafisu miu…”
A questa frase ingiuriosa l’altro scatta in piedi ed ammolla un pugno a chi ha osato insultarlo. Emiio reagisce immediatamente e dal parapiglia che nasce a stento i presenti riescono a separare i contendenti.
L’esercizio fu punito con la chiusura per tre giorni e tutt’Ancona parlò dell’ardimento di Emilio che rnn tollerava “zepe” da nessuno.