D.mare Numero 32 del marzo 2018
“Giorgio da Sebenico con la sua magia la Loggia sbocciò”
Un mercante immaginario racconta la costruzione della facciata di quello conosciuto come il “tempio laico” dorico. L’architetto scultore ha accettato e sottoscritto il contratto con il comune nell’inverno del 1451
(di Claudio Desideri)
Da circa un’ora sono appoggiato al davanzale di questa grande finestra e il profumo del mare, che è lì a pochi metri, mi riempie le narici. Sto guardando la mia nave, ancorata al centro del porto, è la più grande della mia flotta mercantile e sta per alzare le vele e solcare l’Adriatico, poi l’Egeo per spingersi fino a Costantinopoli. Mi chiamo Dionisio e la mia è una delle famiglie più ricche e potenti di Ancona. La mia flotta è la più grande della città ed è seconda solo a quella di Venezia con cui ho ottimi rapporti. I miei servigi verso la Serenissima hanno portato il Doge, Francesco Foscari, a concedermi l’aggregazione alla città veneta. Un riconoscimento importantissimo che consente alle mie navi di solcare l’Adriatico, quello che chiamiamo Golfo di Venezia, senza alcun problema e soprattutto di non pagare i dazi richiesti ai mercanti forestieri nei porti veneziani.
Mi trovo in quello che è definito il “tempio laico” cittadino, la Loggia dei Mercanti, il più bel palazzo civile che possiate incontrare ad Ancona, sulla via principale che costeggia il porto. Mi sembra ieri quando incontrai, a Venezia, uno degli architetti e scultori più famosi del nostro tempo, Giorgio di Matteo da Zara. Molti lo chiamano Giorgio da Sebenico, dopo che ha realizzato il duomo di quella città. Un’opera straordinaria. L’ho conosciuto negli anni in cui collaborò alla realizzazione della famosa Porta della Carta, al fianco del Palazzo Ducale. Per questo l’ho chiamato. Per fargli progettare la facciata della Loggia e abbellire quel semplice, e troppo modesto, muro di mattoni che non si addiceva a rappresentare il luogo dove noi commercianti ci incontriamo e svolgiamo i nostri affari.
Giorgio ha subito accettato ed ha sottoscritto il contratto con il Comune nell’inverno del 1451. Sono stato io, insieme ad altri nobili della città, a pagare i novecento scudi d’oro richiesti dall’architetto non disponendo il Comune di una somma così elevata. Una somma che è stata poi detratta dalle tasse doganali imposte sui nostri traffici. Se pensate che sia un compenso troppo ingente vi sbagliate di grosso. Il maestro se li meritava tutti. Con la sua spiccata efficienza, si è subito attivato chiamando dalla Dalmazia lapicidi e manovali. Ha pensato al loro alloggio ed al loro vitto. Ha fatto trasportare le pietre lavorate e semi lavorate dalle cave dalmate al porto anconetano. Non poteva fare diversamente anche perché il Comune aveva stabilito precise scadenze di consegna e conseguenti penali. Per seguire questa commessa lasciò altri lavori in terra slava ai suoi collaboratori, certo che ad Ancona avrebbe raggiunto un considerevole risultato per la sua carriera.
E poi che dire della sua arte. Del suo modo di interpretare i modelli figurativi delle ghirlande, dei putti, delle colonne tortili. Sicuramente un artista che ha saputo approdare a scelte architettoniche del tutto personali e autonome. Un artista che non si limita al progetto ma interviene egli stesso come scultore.
Oggi che l’opera è finalmente conclusa possiamo goderci la sua incredibile bellezza. Appena salite le scale d’ingresso si accede ad un salone aperto sulla via pubblica e sul lato mare a ridosso dell’acqua dove è possibile svolgere le attività di carico e scarico, trattare dei prezzi delle merci che partono e ar- Volevamo abbellire quel troppo modesto muro di mattoni che non si addiceva al nostro luogo di incontro rivano nel porto. Vi si accede da due portelle che conducono direttamente al molo, largo circa tre metri. Qui sono ancorate le barche che consentono di raggiungere le navi in rada. Vi sono anche degli spazi in cui possono essere conservate le merci. Il soffitto del salone è dipinto di un color blu notte dove risplendono delle stelle d’oro. Vi è poi una sala superiore utilizzata per le nostre riunioni e per gli incontri di rappresentanza con tre bifore aperte sulla via. Ecco perché noi anconetani la chiamiamo Loggia.
Ma quello che più colpisce è la facciata con il cavaliere a cavallo, simbolo dell’indipendenza della città e della sua libertà comunale, completamente dipinto in oro. E’ il più grande mai realizzato ad Ancona. Vi sono poi le statue inserite nelle quattro edicole della facciata. Sono le virtù che più si addicono ad un mercante cristiano: la Speranza con in braccio l’ancora, la Fortezza con la colonna, la Giustizia con la bilancia e la Carità con i cinque puttini affamati. Quest’ultima è sicuramente la più bella.
Giorgio di Matteo ha voluto dare un incredibile slancio alla facciata, comunque compressa negli spazi orizzontali, con le quattro cuspidi esagonali che si alzano oltre il tetto. Un’idea geniale non solo estetica ma anche statica, in linea con la metodologia costruttiva gotica. Si, mi sento orgoglioso di aver contribuito alla realizzazione di quest’opera che contribuisce a rendere Ancona più bella e al pari delle altre grandi città italiane in quest’epoca di rinascita culturale ed artistica. E’ un periodo prospero per Ancona e il nostro porto è uno dei più famosi dell’Adriatico. Le grandi famiglie nobiliari hanno costruito degne residenze per le loro casate e vari ordini religiosi stanno realizzando monumenti sacri che passeranno alla storia.
Ecco la mia nave ha issato l’ancora e spiegato le vele. Piano esce dal porto e tra poco scomparirà dietro l’arco di Traiano. Tra qualche mese tornerà con il suo prezioso carico di stoffe che un mio procacciatore ha acquistato, in Oriente, ad un prezzo veramente favorevole. Per quelle terre sono anni difficili, ma noi anconetani proseguiamo ugualmente nei nostri commerci, forti degli accordi sottoscritti dai nostri ambasciatori. Temiamo solo il cattivo tempo e i corsari contro i quali non possiamo difenderci, ma il rischio fa parte della nostra attività e l’aspetto più importante è riportare a casa la vita e la nostra nave per ripartire di nuovo verso un altro porto.
Materiale riproducibie citando la fonte ©ClaudioDesideri&AnconaNostra.it
Dal gennaio 2018 all’ottobre 2019 il giornalista Claudio Desideri ha pubblicato sulla rivista D.mare una serie di racconti, con basi storiche e ambientati all’epoca, immedesimandosi nelle vesti di personaggi di quei tempi. La serie è intitolata “La città nascosta”, ed i racconti centrano l’attenzione, per ogni racconto, su un monumento e sui suoi particolari, con l’ausilio di immagini dello stesso, scattate da Sauro Marini. Riproponiamo ora quei racconti e quelle immagini per farli apprezzare da chi non ha avuto a suo tempo l’occasione per farlo.